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Monumenti artistici siciliani

- LA LOGGIA DELL'INCORONAZIONE DI PALERMO, RUDERI RICCHI DI STORIA. -

26 gennaio 2010

di Claudio Alessandri

La Cappella di S.Maria l’Incoronata di Palermo e la loggia contigua hanno goduto dal ‘500 in poi di grandissima fama per essere state teatro di tutte le incoronazioni dei re siciliani, o almeno così vuole la tradizione popolare.
Il nostro interesse si è sempre rivolto a monumenti che sono la testimonianza evidente dell’influenza dell’architettura araba nella Sicilia occidentale.

Ci sembra pertanto opportuno non trascurare un monumento che, dietro la sua apparente modestia, cela i segni evidenti della tradizione storico-architettonica, dell’influsso musulmano. Ci riferiamo a quell’insieme edilizio costituito dalla Cappella di S. Maria l’Incoronata e della contigua loggia detta dell’Incoronazione che sorgono a brevissima distanza dalla Cattedrale di Palermo, sul lato nord.

Quei pochi ruderi che sono giunti fino ai nostri giorni ci attraggono, non certo per ciò che sono, ma per quello che dicono. Finita infatti la lettura critica delle varie componenti costruttive, è la storia ricchissima di quei pochi ruderi che stuzzica la nostra curiosità. Nel ricostruire gli eventi che videro protagonista la Loggia dell’Incoronazione, è consigliabile procedere con la massima cautela, cioè distinguere il vero dal fantastico, la storia ufficiale dalla fantasia.
La cappella di S. Maria l’Incoronata e la contigua loggia, hanno goduto, dal cinquecento in poi, una grandissima fama, alla cappella fu attribuito il merito di avere ospitato dal 1130 al 1409 tutte le incoronazioni dei re siciliani.
Pietro Gramignani affermava ancora nel 1939: <<nella cappella coronaronsi, a cominciare da Ruggero II, tutti i sovrani di Sicilia sino a Martino il vecchio d’Aragona con la regina Bianca, nel 1402>>; ed ancora: <<Solo dopo la solenne celebrazione in duomo, rendendo omaggio alla tradizione, i nuovi sovrani pervenivano nella cappella, ove compivano il sacro rito, mostrandosi dalla loggia al popolo acclamante>>.

Il Gramignani nello scrivere quanto da noi riportato, non accenna al minimo dubbio, anzi, cita a rafforzare le sue affermazioni studiosi e storici illustri come, ad esempio, il Fazello.
Descritti, non senza tralasciare molte altre testimonianze, i “meriti” storici della cappella, sarà bene interessarsi ai suoi meriti artistici, molto più sicuri perché evidenti e sorretti dalla lettura critica delle varie componenti architettoniche.
La cappella è senza ombra di dubbio di età normanna, ne è un sicuro indizio la rigorosità delle linee, la stessa cappella si inserì, nascondendola, in una precedente costruzione di ben altre caratteristiche architettoniche e non è difficile datarla al periodo della dominazione musulmana in Sicilia. Nella parte destra, all’interno della cappella, sono tuttora visibili due pilastri rettangolari che sorreggono resti di grosse arcate a pieno centro sollevate da piedritti.

Sul pavimento della cappella, allineati con la parete sinistra, si notano una serie di altri pilastri mozzati rigorosamente allineati con i primi, anche questi, come è facile supporre, reggevano degli archi. Nella parte absidale esterna della cappella, si notano dei monconi di pilastri e su questi gravano dei piedritti con evidentissimi i fori rettangolari dove si inserivano le travi lignee di sostegno.
Quando in quel grande ambiente dalle caratteristiche prettamente arabe che suggerivano l’esistenza di una grande moschea, fu inserita la cappella, risultò evidente l’enorme stacco architettonico esistente fra le due costruzioni, arcaico il primo, rigorosamente rispondente ai dettami dello stile architettonico normanno la seconda. La cappella di S. Maria l’Incoronata fu un prezioso inserto che ruppe o rimodellò quel tanto del vecchio edificio, che serviva ad imporre la sua precedente definizione; lo ridusse in altezza, lo dilatò in larghezza, contrappose il fulgore delle pietre incise dallo scalpello alle pareti l’intonaco rugoso. Fu uno dei numerosi inserimenti nel grande spazio della moschea, trasformata, con l’avvento cristiano, in cattedrale.

Quando nel 16° Sec., il dilatarsi dell’urbanizzazione del vicino e sottostante Papireto, richiese un collegamento viario con la via dell’arcivescovado nuovo (Via Matteo Bonello), fu necessario abbattere il porticato antistante la cappella, per creare un nuovo varco, il porticato fu ricostruito con le caratteristiche di una vera loggia, come ancora oggi si può osservare, una vasta balconata cioè idonea ad offrire alla vista uno spettacolo cerimoniale che nella realtà aveva avuto luogo nel ben più vasto e degno teatro della chiesa cattedrale e della città tutta.
Ecco dunque, il verificarsi di un fenomeno forse unico, la leggenda prendeva il sopravvento sulla realtà storica, e lo spunto offerto in occasione del rifacimento della loggia, diede l’opportunità per confermare quanto sostenuto da studiosi e storici, come abbiamo visto non sempre in buona fede. Anche scenograficamente, quel luogo divenne lo scenario ideale dal quale i re siciliani, per tanti secoli, una volta incoronati in cattedrale, si mostravano in tutta la loro grandezza e sfarzosità di vesti, al popolo plaudente.

A guardare oggi la loggia, non è difficile scorgere il carattere tardo-rinascimentale e l’accentuazione manieristica. Ma la volontà evocativa di storici ed eruditi del sei e settecento, non trovava certamente un ostacolo insormontabile in caratteristiche architettoniche tanto facilmente databili, sfruttando anzi la nuova veste assunta dalla cappella, per ribadire senza battere ciglio, quanto affermato dai loro predecessori.
D’altro canto gli stessi oscuri costruttori della loggia avevano, almeno in parte, con mente reverente, reimpiegato colonne e capitelli dell’antico porticato, vere reliquie che donavano al monumento di nuova costruzione la dignità dell’antico, teatro di tante ed esaltanti cerimonie di incoronazione.
Quando, nel maggio del 1860, le truppe borboniche riversarono su questi monumenti, una pioggia di fuoco e di bombe, la loro storia fantastica si era oscurata ed era svanita nella memoria popolare. Quelle bombe lasciarono un cumulo di rovine fumanti che mai restaurate, rimasero a deperire al sole ed al trascorrere impietoso del tempo.

La leggenda rimase sepolta tra quei ruderi e con essa il ricordo di verità architettoniche che, per cause misteriose, nell’arco di numerosi secoli sfuggirono all’analisi dello studioso diligente, quasi la leggenda scaturita con tanta violenza dalla mente del popolo, e con tanta forza sostenuta dagli studiosi, avesse creato un invalicabile ostacolo a quanti, impietosamente, avevano ricercato la cruda ed arida verità.

articolo del 26.1.2010 siciliainformazioni

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