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Monumenti artistici siciliani

- PIAZZA BOLOGNA A PALERMO, UN'OASI DEL TEMPO CHE FU

24 febbraio 2010

di Claudio Alessandri

I turisti, italiani e stranieri, vagabondando per Palermo alla ricerca delle bellezze naturali ed artistiche promesse da questa strana città che vive fra occidente ed oriente, a pochi metri dai Quattro Canti di Città, andando verso il Palazzo dei Normanni, intravedono una piazza stupenda, Piazza Bologna.

Questa piazza, un tempo, poteva essere paragonata a un salone, un grande salone da ballo estirpato dalle viscere di qualche villa sei-settecentesca della Piana dei Colli o di Bagheria e posto scoperchiato al centro della Palermo più antica ed accogliere i grandi balli della nobiltà che si stordiva nelle feste, cercando in quella droga l’oblio pietoso alla cruda realtà, che allontanasse lo spettro pauroso del crepuscolo, la fine di un’epoca assurda e crudele.

Piazza Bologna, pur sorgendo in un luogo centralissimo, non viene coinvolta dal traffico caotico cittadino che scorre pulsando davanti al suo “ingresso”, difeso dalla statua di Carlo Quinto in “tenuta romana” che, dall’alto del suo marmoreo piedistallo, con un braccio teso in avanti saluta romanamente i passanti invitandoli gentilmente a non turbare la quiete e la solennità di quel luogo.

Oggi piazza Bologna, non è più un grande salone da ballo, le sue quattro “pareti”, un tempo coperte da stucchi, da statue, da fiori di pietra; sono spoglie, la lebbra del tempo e quella ancor più deturpante dell’incuria degli uomini, ha ricoperto di sconce ulcerazioni quelle pareti, le ha pian piano sgretolate, scavate, mutilate ed anche se l’antica nobiltà del luogo non è del tutto spenta, le bocche sdentate dei grandi e bui androni, dai quali un tempo uscivano le dorate carrozze che si recavano alla marina per l’abituale passeggiata, oggi alitano un greve ed insopportabile tanfo di stantio.

Per rivivere, nello spirito di un tempo, l’antico splendore di quella piazza, bisogna chiudere gli occhi ed aspettare pazientemente che lo spettacolo opprimente di oggi, venga sostituito dalle immagini scaturite dal ricordo. Rivedremo allora, nuovamente intatte le quattro pareti del grande salone da ballo; su quella di fondo, il palazzo Ugo delle Favare, la cui facciata dei primi del Settecento, ma con elementi marmorei del Cinquecento, sembra volere ammonire i gaudenti ballerini con le sue figure di sante, poste a fianco del balcone centrale, e con sibillini monogrammi dei santi protettori al di sopra di tutti i grandi balconi le figure simboliche della giustizia e della forza, ormai da molto tempo scomparse.

Il monito alla modestia continua a sinistra, nel ricordo della chiesa del Carminello, decapitata e mascherata ad uffici, ma la cupa voce ammonente si fa più dolce quando si giunge alla gaia ed un poco frivola facciata settecentesca dell’attiguo convento carmelitano. La testata di questa parte della piazza sul Corso Vittorio Emanuele, l’antica via Marmorea, e quella corrispondente del lato opposto, non mostrano invece alcun particolare stilistico apprezzabile, quasi a non volere distrarre l’osservatore dalla coreografia principale.

Giungiamo infine alla parte più bella, quella curata dal grande maestro, infatti a disegnarla fu, alla fine del settecento, il Marvuglia che ne diresse anche l’esecuzione. Il Palazzo Riso fu costruito su commissione dei Ventimiglia di Belmonte che, in seguito, lo cedettero ai baroni Riso di Colubrina.

La facciata è bella e solenne, chiaramente scompartita dalle robuste lesene joniche appoggiate sull’alto stilobate bugnato; nessuno spazio per inutili fronzoli, una bellezza “pulita” ed altera, nata per durare nel tempo. Piazza Bologna, come tutte le piazze che si rispettino, ha assistito nel corso dei secoli a fatti più o meno importanti, ha ospitato personaggi illustri legati ad un epoca solo in apparenza dorata, la cui fine fu segnata da una realtà crudele ed inarrestabile. Ferdinando III al principio dell’ottocento, dai balconi di uno di questi palazzi, assisteva ai festeggiamenti del Carnevale; Maria Luisa d’Austria, la vedova del grande Napoleone, nel 1828 prese parte ad un grande ricevimento offerto in suo onore e palazzo Ugo; durante la rivolta del ’48 i rivoltosi posero il loro consiglio rivoluzionario nel convento carmelitano e poi, nel 1860, nello stesso edificio, fu posto l’ultimo comando borbonico; il 27 maggio fu ospite per poche ore nel palazzo Villafranca, Giuseppe Garibaldi.

Svanita la fantastica visione ricreata artificiosamente dalla nostra fantasia, ripiombiamo nel buio più fitto. Palazzo Ugo dimenticato a mostrare il suo “volto” deturpato, la chiesa carmelitana scomparsa, palazzo Villafranca cadente ed in abbandono, palazzo Riso sventrato dalle bombe americane erge ancora, miracolosamente intatta, la sua stupenda facciata. Palazzo Riso, già casa del fascio, è andato quasi totalmente distrutto, le bombe non hanno risparmiato i grandi saloni, tutto è crollato e la facciata, unica superstite, sembra far parte di uno scenario da film.

Pochi anni addietro quelle rovine vennero acquistate dalla Provincia Regionale di Palermo e debitamente restaurate nelle parti ancora esistenti, utilizzate per esposizioni d’arte moderna. Quello che apparve evidente era che mai nessun privato, per quanto volenteroso, sarebbe stato in grado o meglio, avrebbe avuto la disponibilità economica per restaurare questo antico palazzo, e l’unica valida prospettiva era rappresentata dall’ intervento di un ente pubblico, il “miracolo” è avvenuto a ridare a palazzo Riso l’antico splendore, anche se monco e dolente.

Che l’atteggiamento di molti enti pubblici, Regione in testa, è, a dir poco, sconcertante non costituisce più una novità . Piazza Bologna non è stata trascurata solo dalle autorità, ma anche da tutti coloro che si interessano, in vario modo, alle sorti della Palermo antica che, giorno per giorno irrimediabilmente scompare. Dimenticanza imperdonabile, infatti ci si batte strenuamente per salvare monumenti senza dubbio degni anch’essi di attenzione, ma non altrettanto importanti, dimostrando quanto sarebbe utile unire le forze, per condurre una comune lotta senza disperdere in tanti piccoli rivoli il fiume impetuoso della cultura palermitana.

articolo del 24.2.2010 siciliainformazioni

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