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- MATTEO BONELLO, STORIA DI UN ASSASSINIO ILLUSTRE -

7 gennaio 2010

di Claudio Alessandri

Il re normanno Guglielmo I reduce dalla mirabile vittoria sull’esercito bizantino e dal lungo impegno diplomatico per consolidare gli effetti dei recenti successi militari, tornato nella sua splendida reggia di Palermo, riprese come se nulla fosse accaduto nel frattempo, i suoi dolci ozi dedicando moltissimo tempo ai piaceri dell’harem ed a quelli del buon cibo, regnava circondato da uno sfarzo tutto orientale, le cure del suo immenso regno le aveva affidate al primo ministro Maione da Bare, sul quale riponeva la massima fiducia.

Una fiducia, a quanto pare mal riposta se rispondono al vero le parole dello storico Ugo Falcando nel descrivere Maione nella sua Storia di Sicilia, egli infatti scrisse: "Questo Maione era un vero mostro; anzi, sarebbe stato difficile trovare un essere più ripugnante, più funesto, più nocivo per il regno. La sua indole era capace di qualsiasi bassezza e la sua eloquenza era pari alla sua indole. Aveva grande facilità nel dissimulare o nel fingere, secondo le sue intenzioni. Inoltre era assai dissoluto e pronto ad insidiare nobili matrone o vergini perché giacessero con lui; più pura od elevata era lo loro virtù, più ardentemente egli le bramava”.

Il re Guglielmo I aveva dato a Maione un delicatissimo compito, quello di osservare la classe nobiliare e quella alto ecclesiastica nella loro irrequietezza nei confronti del sovrano ed intervenire prontamente per sventare qualsiasi tentativo di congiura. Questa si verificò puntualmente nell’anno 1168, ordita dall’arcivescovo Ugo, l’alto prelato diede vita ad una congiura per detronizzare il re Guglielmo I e porre sul trono Guglielmo II che, quando avvennero quegli avvenimenti era ancora un bambinetto, il potere sul regno sarebbe andato ad un comitato di nobili, ovviamente con a capo l’arcivescovo.

Il tragico progetto doveva rimanere, ovviamente, segretissimo, per sfortuna dei congiurati la notizia in qualche modo giunse all’orecchio di Maione, non era troppo difficoltoso immaginare la fonte di quella preziosissima informazione; il primo ministro poteva contare su di una vera e propria organizzazione di informatori. Era un uomo dalle rapide iniziative e passò subito all’azione, ne andava della vita del re e della sua. Maione di Bari, l’unico che potesse avvicinare l’alto prelato l’arcivescovo Ugo, con l’aiuto di medici prezzolati, riuscì a fargli bere dell’arsenico, ma per sua sfortuna il veleno fece stare molto male l’arcivescovo, ma non lo uccise, ritentò con altro veleno, ma ormai le sue intenzioni erano palesi e Ugo, nonostante fosse in condizioni precarie di salute avvertì Matteo Bonello del grave pericolo, lui e tutti i componenti la congiura.

Perché e chi era Matteo Bonello? A questo punto conviene fare un passo in dietro. Matteo Bonello era il signore di Caccamo, non era portatore di titolo, ma apparteneva ad una delle più antiche famiglie normanne che si erano stabilite nel meridione d’Italia. Dai cronisti veniva descritto coraggioso e di aspetto gradevole ed in più era ricchissimo; nessuno quindi si meravigliò quando Maione lo introdusse a Corte affidandogli un incarico importante ed essendo un esperto di uomini di sicuro successo, giunse persino a promettergli una figlia come sposa.

Nel frattempo erano giunte notizie dalla Calabria dove si erano verificati dei disordini causati dai baroni del luogo, Matteo Bonello che vantava influenti conoscenze in quella zona, era stato scelto quale emissario per una missione di pacificazione. Maione non poteva sapere degli sviluppi che avrebbe avuto quell’incarico che, per una serie di eventi, sarà causa della sua morte. Maione, come asserisce il Falcando, amava Matteo Bonello più di un figlio quindi mai avrebbe immaginato che un pericolo per la sua vita potesse giungere da lui.

Forse il primo ministro di Re Guglielmo I, fidatissimo come lo era stato in precedenza per Ruggero II, commise un errore di valutazione che gli costò molto caro. Bonello, appena sbarcato in Calabria, venne contattato dai congiurati e non seppe resistere alle loro lusinghe, in particolar modo quelle fatte dalla contessa Clemenzia di Catanzaro, donna bellissima che in brevissimo tempo lo convinse a far parte della congiura permettendogli quale premio la sua mano, Clemenzia oltre ad essere bellissima era nobile e ricchissima. (La vicenda che vede quale protagonista la bellissima e ricchissima baronessa Clemenzia di Catanzaro che riporta quale fonte lo storico Falcando è da ritenere pura fantasia. La baronessa esistette storicamente, ma nessuno poté mai affermare con certezza che abbia mai conosciuto il Bonello e che abbia esercitato su di lui il malefico influsso che lo condusse al tradimento).

Maione, nonostante i ripetuti avvertimenti di suo fratello Stefano, non adottò alcun provvedimento e quando gli mostrarono le prove certe dei preparativi per ucciderlo, fornendogli l’elenco dei congiurati il primo dei quali era Matteo Bonello, respinse l’evidenza avendo ricevuto dal suo protetto una missiva che, nell’annunciargli che la missione a lui affidata era andata a buon fine, aggiungeva, di affrettare i preparativi per le nozze con sua figlia che voleva venissero celebrate appena tornato a Palermo.

A questo punto Maione fugò ogni dubbio e si dedicò alacremente ai preparativi per le nozze, nello stesso tempo Bonello studiava vari progetti per trovare il sistema migliore per uccidere il grande ammiraglio. Finalmente ritenne di avere trovato il metodo migliore per essere certo di uccidere il suo benefattore; la notte di San Martino tra il 10 e 11 novembre 1160 Matteo mise in atto il suo piano criminoso, fece appostare numerosi dei suoi uomini armati all’imboccatura della via Coperte che, un tempo univa la Cattedrale al Palazzo Reale, di quella via si serviva regolarmente Maione. Aspettarono pazientemente, poi videro il Grande Ammiraglio che uscito da casa sua, seguito da piccola scorta, si avviava verso la Cattedrale.

I congiurati attendevano nascosti dall’ombra concentrati nell’attesa quando giunse un famiglio di Maione che concitato lo avvertì della trappola mortale che il Bonello stava per mettere in atto. L’Ammiraglio arrestò all’istante i suoi passi apprestandosi alla difesa, ma nulla potè quando i congiurati lo assalirono con estrema violenza, Bonello sguainò la spada e colpì ripetutamente il grande Ammiraglio che accennò ad una difesa ma in breve venne sopraffatto. La scorta di Maione fuggì precipitosamente mentre tutto il livore dei congiurati si scaricava sul corpo di Maione che giaceva al suolo ormai inerte e ne fecero scempio.

La furia popolare si scatenò in tutta la sua virulenza, vennero assalite le case abitate dagli arabi, vennero divelti gli usci, depredati gli ambienti e le donne degli Harem divennero preda di tutti. A quel punto il re comprese che era giunto il momento di intervenire, la sommossa rischiava di estendersi e divenire pericolosa per lo stesso Guglielmo I. Diede ordine perché venissero catturati tutti i rivoltosi riservando per loro atroci vendette; forse a seguito della strage ordinata dal re, questi passò alla storia con il soprannome de: “Il Malo”.

Guglielmo I riservò la sua ira in modo particolare sulla classe baronale da non molto giunta dalla Lombardia, eppure pronta alla ribellione contro il re che li aveva accolti con grande generosità. In modo particolare a subirne le conseguenze furono proprio le città abitate da una maggioranza lombarda, Butera, Piazza Armerina ed altre località a forte concentrazione di quella etnia. Alla caccia di Matteo Bonello vennero posti i musulmani che non tardarono a catturarlo.

Gli venne destinata una pena spaventosa, una volta accecato, gli vennero recisi i tendini delle braccia e delle gambe in modo che non potesse fuggire. Il giovane non sopravvisse a quelle torture e dopo pochi giorni di prigionia morì. Il vescovo Ugo ebbe comunque la sua vendetta ed a perenne ricordo ed ammonimento, entrato in possesso della spada di Matteo Bonello ne spezzò la lama e fece inchiodare l’elsa al portone della Curia dove, ancora oggi, è visibile.

Chiunque si intenda un po’ di armi bianche, nell’osservare quell’elsa, si renderà conto che questa è di foggia seicentesca quindi non poté certamente appartenere a Matteo Bonello, comunque fa il suo bell’effetto ai turisti che numerosissimi, giungono a Palermo per ammirare gli splendidi monumenti e ai quali le guide turistiche, con fare misterioso, propinano volentieri questa leggenda ottenendone in cambio una mancia più cospicua.

articolo del 7 gennaio 2010 Italiainformazioni

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