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- BARTOLO CONCIAURO - UN CUORE... UNA VITA

30 settembre 2008

di Claudio Alessandri

Il cervello nelle più aggiornate ricerche scientifiche, assomiglia sempre più ad una stupefacente “centrale” dalla quale si dipartano infiniti e fulminei impulsi che permettono tutte le funzioni del nostro organismo, i più moderni computers non solo non riescono a competere con le immense potenzialità umane, ma neppure si avvicinano ai milioni di “files” del cervello umano.
Il cuore pulsa instancabile fornendo con il sangue il “carburante” indispensabile al funzionamento del cervello. Due organi prodigiosi senza i quali il nostro corpo assomiglierebbe ad un ammasso di carne inerte, assolutamente inutile, una repellente ameba.
Quindi tutte le sensazioni che avvertiamo scaturiscono da comandi cerebrali; la paura, la gioia, il dolore, il piacere e tanti altri impulsi graditi o sgraditi, è il cervello a fornirceli. Eppure è esistita una grandissima civiltà, quella egizia che, nel credere ad una vita ultra terrena, nulla a che vedere con il “credo” cristiano, poneva ogni attenzione per preservare le spoglie mortali dal disfacimento e pur essendo a conoscenza di avanzate conoscenze mediche e anatomiche, attribuivano al cuore ogni impulso vitale, dal materiale a quello spirituale ed in primo luogo, quello divino che guida gli uomini nella religione, nell’amore, nell’intelligenza e nel coraggio.
Bartolo Conciauro pur attribuendo il giusto riconoscimento alle funzioni mentali, e non potrebbe essere altrimenti ripercorrendo le vicende della sua vita rivive “con il cuore”, le gioie, i dolori e le disillusioni riposte, fino ad un attimo prima, in un cantuccio dell’anima, non obliate, ma un ingenuo tentativo di sublimare la realtà, un estremo sussulto di sopravvivenza lungo un viale disseminato di sassi e di sterpi, di profumi inebrianti che, ingannevoli, celano la morte di migliaia di splendidi fiori.
Il suo tentativo originale colmo di patos, come solo un artista dotato di fantasia creativa può fare, si è offerto, prima di tutto al suo risentire sensazioni che il tempo aveva stemperato e poi al fruitore della sua idea, delle sue opere che, rigenerate da un afflato poetico, narrano di un mistero tanto stupendo quanto inquietante, dal concepimento alla nascita di un figlio, del primo trepido amore, fatto di sguardi dolcissimi, di melodie che si protraggono nel tempo facendo sobbalzare il cuore a risentirle dopo anni di incolpevole oblio, quando i capelli, nell’autunno della vita coprendosi di candore, annunciano il prossimo inverno.
Bartolo, tutto questo lo ha vissuto, lo ha sofferto, ha cercato di cancellarlo dalla sua anima, ma la ferita è rimasta aperta, sanguinante, nessun balsamo miracoloso a lenire il dolore… allora, tanto valeva affrontarlo, una volta per tutte, un artista ha solo un’arma per esprimere i suoi sentimenti più segreti. Il colore è vita, è gioia, quindi poco adatto a descrivere un dolore profondo, molto più adatto il freddo metallo sulla cui superficie anonima delegare a dei visi di donna, espressivi, ma eterei come tutto ciò che sfugge al reale per non banalizzare un concetto, una passione, un dolore… appunto.
Visi muliebri, ricordi, dolci languori rivedendo nel rosso del tramonto, un viso minuto, i capelli a caschetto, neri come le lave dell’Etna a far risaltare ancor più il verde degli occhi, sbarrati su un mondo colmo di trepide promesse non ancora rattristati da una realtà tanto diversa dai sogni disegnati sul viso del compagno di banco, deturpano dall’acne giovanile, ma tanto bello ai suoi occhi.
I ricordi emergono a poco a poco, ma ormai inarrestabili è stata data la “stura” ad un otre colmo di avvenimenti lontani nel tempo, nello spazio, che adesso fluiscono, fiume in piena, a travolgere la diga che aveva innalzato a frenare una realtà che, volere o non volere, ci appartiene.
Torna alla mente il suono “stranamente” giulivo della campanella della scuola, le interminabili ore di lezione, illuminate, di tanto in tanto, da alcuni versi recitati con voce querula del professore prossimo alla pensione che, rivitalizzato dai versi “possenti” di Carducci, si ergeva sulla cattedra, quasi prossimo a spiccare di nuovo il volo nei cieli felici della sua giovinezza, prima che gli anni e i suoi sogni da letterato, si infrangessero sui visi annoiati e spenti di classi e classi di alunni che, a poco a poco, divenivano sempre eguali, anno dopo anno, il tempo si fermava in deludente monotonia che tutto invischiava in un letto di melassa.
Il cuore in continua altalena fra gioie semplici e tristezza apparentemente insanabile, attendeva quell’attimo, quando sembrava arrestare i suoi battiti e le viscere si stringevano in uno spasmo, non dolore, ma nell’annuncio di un amore, assoluto, felice, pronto ad andare incontro ad una nuova vita, nella speranza che nulla giungesse a cancellare quel breve – lungo tempo ad una esistenza che, nell’unione di un sentimento di amore divino, avrebbe dato ai nostri sogni che diverranno realtà nel fragile corpo di un esserino indifeso che, con i grandi occhi sbarrati ci dice che per vivere ha bisogno del nostro amore… come noi della nostra compagna sempre solerte ad asciugare, con un bacio le nostre lacrime con una dolce carezza, scacciare le nostre ambasce.
Sono attimi di indicibile felicità, poi… la monotonia della vita di ogni giorno, “intossica”, a poco a poco, un sentimento che, mai più, avrebbe previsto esauribile.
Il cuore sembra spegnere la sua magica energia, batte sempre più lentamente, prossimo ad un definitivo silenzio… buio, gelo e paura dell’ignoto che ci attende.
La vita prevede anche questo, il battito è lento, svogliato, ma è sufficiente a permettere la sopravvivenza, il dolore, la delusione si espandono in tutto il corpo, il cervello non lancia più saettanti impulsi emotivi, ma la vita beffarda continua, forse l’amore tornerà a squassare petto e viscere, ma saranno sensazioni diverse come immagini sbiadite, riflesse in uno specchio antico dove, scrostandosi l’argento, rimanda immagini incerte, confuse come lo “spezzarsi” di un riflesso allo sciabordio di improvviso incresparsi di onde in uno stagno, fino a poco prima, tranquillo.
Bartolo, tutto questo lo ha vissuto, sofferto, dalle sue opere, visi muliebri che emergono da quelle lastre metalliche come “ectoplasmi” di vite spezzate in attimi diversi; amore, dolore, delusione, orgasmo, tutti gli aspetti della vita emergono dai disegni di Conciauro; “dagherrotipi” che illustrano la sua vita, o almeno questa è l’intenzione dell’artista, nel momento di una svolta esistenziale che non poteva non influenzare l’espressione creativa di Bartolo e fin qui l’evidenza delle immagini; nell’assurdo tentativo di scacciare i fantasmi di una vita che non poteva e non può essere immersa perennemente nell’atmosfera fatata di un “Eden” riservato alla fantasia di divinità intangibili, perché non reali.
Conciauro è voluto andare oltre, si è scoperto regista e, con un simbolismo commuovente, per tensione emotiva e semplicità espressiva, con l’ausilio di un’attrice dilettante dal viso notevolmente espressivo, ha filmato, in un breve spazio di tempo, il lungo e complesso dipanarsi di una intera vita.
Soggetto principale un cuore, oggetto inanimato fatto di resina e di marmorina imprigionato da una corda, legaccio fragile, ma fatale per un cuore sempre disposto a credere, amore… a morire al semplice apparire di una realtà matrigna e… la musica fa il resto.
Il viso dell’improvvisata “diva” rappresenta con grande evidenza, vari stati d’animo, suggeriti dai muscoli facciali, plasmati man mano, dagli impulsi cardiaci. Tutta una vita scorre sotto i miei occhi, molto più descrittiva di un racconto vergato da un famoso narratore, dall’esibizione colma di pathos di un attore che da tutto se stesso dalla cavèa di un teatro greco nell’alternarsi di una vita, di due vite, di tre vite… dal dischiudersi impudico di sentimenti, mai rivelati, dall’umanità sin dalla notte dei tempi.  

Claudio Alessandri         

- BARTOLO CONCIAURO - UN CUORE... UNA VITA