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- RENATO GUTTUSO : AD ASPRA EBBE INIZIO L'AVVENTURA

20 aprile 2010

di Claudio Alessandri

          Come avviene comunemente a tutti coloro che avvertono prepotente il richiamo dell’arte, Guttuso iniziò a dipingere giovanissimo; non si trattava di un fenomeno di precocità; le sue prime realizzazioni pongono evidentemente in evidenza una immaturità che è naturale per un giovane all’affacciarsi ad un mondo, fantastico, ma sconosciuto; il tratto era evidentemente incerto, i colori esageratamente “grumosi e terrosi” e, come tutti i principianti i soggetti che Guttuso traeva, rifiutando già da allora ogni condizionamento formale, da stampe che raffiguravano vedute di varie città italiane, erano poco più che volenterosi tentativi di rappresentazioni di vedute oleografiche “dal vero”.
Non disdegnava comunque, con l’incostanza comune a tutti i principianti, i paesaggi marini, vicini alla natia Bagheria, il borgo marinaro di Aspra, diverrà per lui una sorgente senza fine di spunti intimistici; il mare ed il cielo si “impongono” nei suoi lavori iniziali, esaltando “la forza del colore” che per Guttuso diverrà, sino agli ultimi giorni della sua fantastica vita, una costante caratterizzante, talmente caratterizzante da divenire , un “sigillo” unico e distintivo.
In quegli anni, si dedica alla realizzazione di alcuni ritratti, due quadri di ambiente marino; Aspra lo attrae sempre pronta a suggerirgli spunti probabilmente non eccezionali, anche se si mostra già il “segno” distintivo, netto, scaturito da un temperamento vivace e alieno ad essere identificato in un ambito stilistico. Tutto questo non turba l’atmosfera poeticamente suggerita da una realtà prossima a scomparire.
E’ sempre da Aspra che Guttuso “osserva incantato” l’ampio golfo di Palermo con la sagoma inconfondibile intravisto nel baluginare di una bruma estiva. Questa caratteristica evidenzia l’ispirazione del maestro bagherese quel soggetto è caratteristico e ricorrente nei paesaggi dipinti dal “ladro della luce del sole” Francesco Lo Jacono uno dei massimi esponenti siciliani dell’impressionismo attivo a Palermo alla fine dell’800 ed agli inizi del ‘900.
Per Guttuso forse fu quello l’ultimo “sussulto” di un mondo infantile, ma ancora bisognevole di tanta e poi tanta esperienza; eppure le sue opere sono già traboccanti di pathos.
Guttuso, nel non breve periodo della sua maturazione anagrafica ed artistica, va alla ricerca nella natia Bagheria di un’artista che possa donare alla sua inesperienza, completezza tecnica, ma principalmente liricità, la troverà in Murdolo massimo pittore dei caratteristici carretti siciliani. Per Guttuso fu un’attrazione fatale ed è presso di lui che ha inizio il cammino verso le vette più alte dell’arte mondiale. Pensare che Murdolo abbia potuto influire sul “tratto” caratterizzante del grande, giovane bagherese, non rappresenterebbe solamente un errore di valutazione dal punto di vista artistico, ma condurrebbe ad una “gustosa leggenda” da prendere solo come tale e niente più.
 Guttuso nella bottega di Murdolo, non imparò a disegnare, quel dono stupendo era innato, ma da quell’umile artigiano, comprese il giusto uso del colore, lezione che non dimenticò più, perfezionando l’armonia delle tonalità e rivestendole di una forza talmente pregnante da renderlo distinguibile da qualsiasi altro artista.
Enrico Crispolti, famosissimo interprete dell’arte guttusiana, in una prestigiosa monografia dedicata al “Maestro”, si rivolge una domanda che ritengo opportuna, ma quello che è estremamente penoso è che si da anche una risposta che, lo dico con estrema prudenza, sta’ a dimostrare come anche i “grandi critici” possono essere vittime di cecità culturale che, per uno studioso di arti figurative è, a dir poco, grave. Un’affermazione che ha dell’insulto, Conclude: “… una esperienza che pure Guttuso ha voluto ricordare in un punto della sua “autobiografia”, tuttavia forse più in un omaggio ideale alla pittura popolare siciliana, che non specificamente all’insegnamento di quel piccolo maestro (altro larvato dire chiaramente), e credo non solo difficile, ma impossibile dire…”
Nel leggere quanto sentenziato da un “mostro sacro” della storia dell’arte quale Crispolti, non dubito affatto del mio pensiero, ma dubito fortemente di lui e della sua conoscenza della “pittura popolare siciliana” quando la definisce incautamente, relegandola impropriamente come un’espressione folkloristica, colma di tradizioni, ma totalmente priva di spunti artistici.
La mia idea, al riguardo, come già scritto, è diametralmente opposta; non è mia intenzione contestare il fatto che la pittura popolare rivesta il carattere di “arte minore”, ma non è questo l’aspetto determinante nella pittura di Guttuso e che Crispolti ignora.
Quelle apparenti semplici rappresentazioni della mai dimenticata tradizione siciliana della “Chanson de gest” che perpetua la fantastica lotta fra i cavalieri di Carlo Magno e i Mori; se dovessi basarmi solamente su questo aspetto, avrebbe indubbiamente ragione Crispolti, ma è talmente evidente in quelle “leggende che rotolano su due ruote” un'altra caratteristica che non può essere ignorata, neppure ad un osservatore distratto: “la forza del colore”, della cui importanza e caratteristica ho scritto in precedenza.
Guttuso nella sua lunga e fruttuosa carriera artistica, venne a contatto con colleghi delle più svariate correnti pittoriche, aderì con entusiasmo ad alcune di esse, quella “paesaggista naturalista” del pittore bagherese Domenico Quattrociocchi, presso il cui studio il giovane Renato lavorò per qualche tempo, gli fece assumere verso la natura un trasporto di commuovente liricità, forse violentando il suo carattere impulsivo, più propenso alla “sciabola” che alla “dolcezza” del “fioretto”.

articolo del 20.4.2010 siciliainformazioni
 

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