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- I SOLLAZZI NORMANNI E IL CASTELLO DELL'USCIBENE -

23 marzo 2009

di Claudio Alessandri

Il castello dell’Uscibene o anche Scibene, è stato oggetto di molti studi per l’attribuzione delle sue origini, numerosi storici e non solo fanno risalire la sua fondazione, senza comunque inoppugnabile certezza, a Ruggero II come il castello della Fawara, tutti collegandosi alla tesi dello storico Ugo Falcando.

Il nome originario è da attribuire certamente agli arabi, tesi sostenuta dai più, ma che cozza con evidenza con l’attribuzione della costruzione di Ruggero II, conquistatore normanno successivo alla dominazione musulmana della Sicilia. Più attinente quindi, a nostro avviso, la definizione di costruzione arabo-normanna.

Uscibene o Scibene, nel tempo assunse varie dominazioni, Xibene, Xhibene, Sirbene ed altre ancora. Lo studioso Pietro Salerno attribuì a questi nomi il significato di: “Palazzo o abitazione, luogo di riposo e di quiete”.

L’Uscibene si trova lato monte dell’attuale circonvallazione e più precisamente in via Cavallucci. Molto più delle tante teorie, è utile una analisi diretta della costruzione per definire una origine costruttiva, la presenza in quel luogo di abbondantissima acqua fa propendere la scelta di una sua origine araba e successivo intervento normanno.

Osservando questo “sollazzo” non può sfuggire il suo collegamento con la “Fawara”, sia per tecnica costruttiva in conci di tufo, perfettamente intagliati, che per la presenza di un lago o peschiera artificiale, particolare identificativo degli emiri arabi.

La cappella dell’Uscibene venne costruita sulla sottostante “sala della fonte”, pertanto è consequenziale dedurre un secondo intervento costruttivo operato dai normanni, come si riscontra anche nella “Fawara” che evidenzia una seconda fase costruttiva per la cappella che la vede come “rinserrata” in una preesistente situazione architettonica.

La nostra constatazione non è del tutto originale in considerazione che, già in precedenza, lo studioso tedesco Goldshmidt attribuì agli arabi la costruzione centrale unitamente alla “sala della fonte”, dstinando l’edificazione della minuscola cappella al periodo ruggeriano e più precisamente nel frangente storico che andava da Guglielmo II agli Svevi.

La costruzione mutò destinazione, non più “sollazzo”, nel 1177 quando Guglielmo II con suo privilegio nel marzo dello stesso anno, per ricompensare la chiesa panormita della donazione a quella di Monreale del Casale di Corleone e della Chiesa di S. Silvestro, le faceva dono del palazzo dell’Uscibene unitamente ai terreni che lo circondavano, la concessione ebbe un ulteriore conferma da parte di Federico II, nel 1211.

L’abate Mongitore che riscoprì tanti monumenti disseminati nella campagna palermitana, dopo vari secoli d’oblio, scrisse alcune osservazioni e fra le altre, una dedicata alla “chiesa della Madonna dello Scibene”, scriveva: “Nel giardino chiamato Scibene che fu della Mensa Arcivescovile di Palermo, è, in oggi (1726) del Collegio della Compagnia di Gesù, si vede una chiesetta della SS. Vergine, di cui si fa festa l’8 settembre.” “…La fabbrica della chiesa è antichissima e pare edificio dell’età dei saraceni e forse da essi fabbricato, e poi, accomodato a forma di chiesa”. “…La stessa antichità mostrano una torre, alcune stanze vicine, e alcuni bagni sotterranei da me osservati nel 1701…”.

Di numerosi altri ambienti doveva disporre la fabbrica, oggi scomparsi, in parte distrutti ed in parte inglobati nelle costruzioni private che sono addossate all’antico monumento, a conforto della nostra idea vi è testimonianza del Goldshmidt che diede certezza scritta dell’esistenza di numerose fabbriche nei pressi della cappella, attestazione di grande importanza se si considera lo stato attuale del monumento in buona parte reso irriconoscibile dei rovinosi interventi in numerosi anni di totale incuria e colpevole degrado causato da una dissennata politica costruttiva, bisogna precisare che l’Uscibene cade su un terreno privato, tanto è vero che nel 2006 il competente Assessorato della Regione Siciliana comunicò l’intenzione di espropriare ciò che rimaneva del monumento per un importo che ammontava a circa 270 mila euro per potere procedere al restauro. Ancora oggi il tutto è rimasto nelle buone intenzioni, nulla più.

L’unico ambiente ancora “leggibile” è la cappella pur essendo utilizzata come magazzino per attrezzi agricoli e varie masserizie. La “sala della fonte” viene utilizzata, per quel tanto che ancora permane, come lavanderia ad uso degli abitanti del sito, gli altri locali o sono interrati o pieni di varia immondizia.

La pescheria, oggi, può essere rintracciata con grande difficoltà e dopo una scrupolosa ricognizione del luogo, molto probabilmente era concepita in terrazze degradanti, tenuto conto del notevole dislivello che intercorre dal “castello” al sottostante piano di campagna.

Come già scritto, il monumento si presenta con caratteristiche costruttive severe, semplicissime e prive di ogni ricercatezza decorativa. L’unico motivo d’abbellimento, volendo forzare il senso della definizione, può essere osservato all’esterno della cappella, dove sono visibili alcune arcate cieche, comuni a tutti i monumenti del periodo normanno, atte a movimentare dei paramenti murari altrimenti monotonamente uniformi.

Altro elemento di un concetto decorativo basato sull’eleganza creata dai movimenti delle finestre cieche, è costituito dal grande arco del prospetto d’ingresso, anche in questo caso dovevano costituire motivo di eleganza architettonica, le due colonne marmoree che costituivano gli stipiti dell’arco stesso, queste uniche decorazioni oggi sono scomparse, andando ad abbellire delle chiese o, ancora, pretenziosi palazzi nobiliari.

articolo del 23/3/09 siciliainformazioni

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