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ROMANO DAL FIUME: FESTA DEI FIORI

10 gennaio 2012

di Claudio Alessandri


Può accadere, certo non frequentemente, di imbattersi, per una fortunata coincidenza, con artisti dotati di tecnica squisita e di sensibilità cromatica di una delicatezza ed una eleganza tale da richiamare alla nostra memoria dipinti, per i quali unico scopo, e non è poco, era quello di fare rivivere “armonie” sopite in un sonno letargico, per tornare alla “vita” in un momento più propizio all’attuale, dove sembra criminalizzato tutto ciò che è disegno classico ed armonico.

La verità è purtroppo quanto mai negativa; le varie correnti artistiche, per anni, hanno soffiato impetuose affermando il concetto che sotto l’emanazione del classico e bello, si scimmiottava un’arte ormai “stracotta”. Tutto ciò ha generato nuove tendenze, a volte discutibili, che hanno portato sconvolgimenti epocali nel concepire forme, colori, spazi e proporzioni e ciò fino a giungere all’astrazione, all’informale; espressione “colta” di una sintetizzazione di forme ma, ad un certo momento, si è perduta ogni regola, ogni aspirazione a dire qualcosa di nuovo o positivo, un vuoto terrificante; come giustificarlo? Non era ne semplice ne giustificabile e così, in attesa di qualche critico d’arte “geniale”, le Accademie, si sono riempite di insegnanti che, insieme all’antica arte avevano e, purtroppo hanno, smarrito il senso della misura, giungendo ad incoraggiare gli alunni a percorrere solo le vie delle correnti informali.

Così, spesso, l’incapacità ha portato non a nuove soluzioni, sempre gradite, ma al caos mortale, un insulto a chi di quelle correnti era l’ispiratore, il propagatore di un’espressione dai contenuti reali, e non di “furberie” da imbonitori. Tutto ciò fa dubitare, ragionevolmente, sulla capacità di questi “artisti” di esprimersi correttamente nel disegno, facendoci pensare che certe soluzioni altro non sono che un meschino espediente per sviare l’attenzione dalla loro pochezza, tecnica ed espressiva. Al di là di queste considerazioni, ci piace tornare a quelle che inizialmente chiamavamo “occasionali, fortunate scoperte”: può accadere di imbattersi, anche oggi, e ovunque, in artisti che hanno “rifiutato” i falsi “modernismi” e, forse, anche i facili guadagni, dedicandosi, come un tempo, alla “pittura disegnata” e senza per questo cadere nel formalismo e nel più deteriore classicismo.

Durante un soggiorno ad Imola, sentì parlare di un pittore, a me sconosciuto, ma che in quella cittadina andava per la maggiore; non seppi resistere alla curiosità e volli conoscerlo. Non fu difficile incontrarlo e grande fu la sua disponibilità a raccontarsi e a raccontare le sue “origini” artistiche, le sue aspirazioni proiettate nel futuro, piene d’entusiasmo e di voglia di “fare”, soprattutto adesso che, giunto alla pienezza degli anni ed alla maturità artistica, non vuole “tirare i remi in barca”, ma progettare, creare per donare sempre nuove armonie al suo prossimo. Romano Dal Fiume, a prima vista, suggerisce visioni d’altri tempi: alto, magro, con il viso incorniciato da una barba bianca ben curata, conferma nello sguardo una nobiltà d’animo che pone a proprio agio il suo interlocutore.

La sua attività artistica ha avuto impulso, quando era ancora giovanissimo, “a bottega”, come gli antichi pittori; poi il lavoro alle fornaci della cooperativa di ceramiche di Imola, una attività pesante che comportava anche lunghi turni notturni per controllare quell’inferno di fuoco. Il “pane” era assicurato ma Romano non era contento, desiderava anche il “companatico” ed ecco coniugarsi il lato artistico a quello imprenditoriale; lui metteva se stesso e la sua arte a disposizione dell’industria dove lavorava.

I dirigenti, con una lungimiranza rara in persone che mirano quasi esclusivamente a produrre il più possibile per un sano profitto, notarono quella sua grande disponibilità. Romano divenne direttore artistico di quella cooperativa e non so chi ne ebbe maggior vantaggio, ma si sa, un artista non bada a dettagli così “insignificanti”. Poi la pensione ma non il rilassamento, anzi: l’attività pittorica si è intensificata, arricchita d’esperienza e di umanità. Mi mostra i suoi ultimi lavori con riluttanza, quasi temesse un mio parere negativo, ma è solo una mia impressione; Romano è conscio del suo valore anche se il pudore di una educazione d’altri tempi gli impedisce di mostrare il suo orgoglio per delle opere che, apparentemente elementari, racchiudono tecnica, eleganza compositiva, sapienza cromatica ed una piacevolezza visiva che non “gustavo” da moltissimi anni.

Quando saluto Romano promettendogli che mi occuperò di lui, mi saluta con estrema grazia, emozionato come non avesse ricevuto mai altri complimenti e so che non è così. Mi sono staccato da quell’artista “giovinetto e vecchio”, con difficoltà, con la sensazione di avere vissuto una realtà remota, estremamente piacevole, per ripiombare, uscendo dal suo studio, nel triste caos sonoro ed artistico di questo secolo.

 
 
 

 

ROMANO DAL FIUME:  FESTA DEI FIORI